Passare in questi giorni davanti alle vetrine di una qualsiasi pasticceria di Napoli sorprende, non ci sono babbà, sfogliatelle, santarosa o pastiere, lo scenario cambia repentinamente, disposti uno accanto all’altro tanti rettangoli regolari di color marrone chiaro o scurissimo, quasi nero, che evocano, inequivocabilmente, la forma di una bara semplice è lineare: il torrone dei morti.
Solitamente siamo abituati a delle tavolette rettangolari spesse non più di due centimetri di zucchero e nocciole o mandorle. Questo dolce, invece, è diverso; un parallelepipedo alto non meno di dieci centimetri ricoperto da uno stato di finissimo cioccolato al latte, fondente o addirittura bianco, che conserva un cuore morbido dai sapori più svariati.
Ogni pasticciere ha una sua ricetta, un suo sapore particolare accuratamente preparato in gran segreto: mandorle, pistacchi, caffè, nocciola, frutti secchi o scorzette candite con fragranze che inebriano innanzitutto la vista per poi far nascere quel languorino a cui non si può rinunciare.
C’è una sera particolare dove il cartoccio profumato deve essere lasciato sulla tavola imbandita di tutto punto, immancabile acqua, vino, olio, sale e baccalà, tra Ognissanti, il primo novembre, e la commemorazione dei defunti, il giorno seguente.
La tradizione vuole che in questa notte vi sia una ricongiunzione tra le anime dei morti, che ritornano tra le mura domestiche, e i loro familiari. Avviene uno scambio sacro tra i doni che i defunti recano dal cielo ai loro cari e, di contro, il sollievo che il congiunto intende dare per rendere il lungo viaggio meno grave.