Storie di amicizie profonde, tanto da essere ritenute illecite, tra due coetanee, che si bisbigliavano in un luogo di clausura esclusivo di Napoli nel XVI secolo.
In verità parliamo di due suore, Giulia Caracciolo e Agnese Arcamone, i cui cognomi non hanno bisogno di presentazione, e delle vicende che le videro protagoniste all’interno del più prestigioso cenobio partenopeo nella prima metà del 1500, il Monastero di Sant’Arcangelo a Baiano.
Situato nella zona del sedile di Forcella, così denominato a causa della biforcazione della strada che ricorda la lettera Y cara a Pitagora, fu edificato nel VI secolo ad opera dei monaci Basiliani sui resti di un antico tempio pagano, probabilmente dedicato ad Ercole o Serapide, dove venivano espletati rituali propiziatori con l’intento di cancellarne la forza catalizzatrice.
Dedicato a San Michele Arcangelo con annessa chiesa, ebbe l’aggiunta “a Baiano” da parte dell’abate Teodosio solo nel 593. Due sono le ipotesi più accreditate, la prima come ringraziamento alla famiglia Baiano per l’importante donazione, la seconda perché quella zona era ad appannaggio di una colonia greca proveniente da Baia.
Nel 1268 Re Carlo I d’Angiò, per celebrare il suo secondo matrimonio con Margherita di Borgogna e la definitiva sconfitta di Corradino di Svevia nella battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268, decise di farlo riedificare. Per esaudire il desiderio di sua moglie, fu affidato alle monache benedettine ed impreziosito con il dono delle reliquie di San Giovanni Battista, detenute grazie alla partecipazione alla settima crociata in Egitto.