I Borbone e l’omosessualità: la liberta dell’essere

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Emancipazione, pensiero libero, superamento di stereotipi, un continuo affannarsi per dimostrare che determinati pregiudizi sono alle nostre spalle. In realtà, quando si affrontano temi come l’omosessualità i preconcetti, duri a morire, fanno sì che riconoscere ed accettare questa identità nella società, ma prima ancora nella propria famiglia, risulti davvero difficile.

L’opinione comune deve ancora metabolizzare che non siamo di fronte ad una malattia da cui si può guarire o, peggio ancora, al capriccio di una moda da seguire. Vivere serenamente la propria sessualità con la piena accettazione del sé, superando quella fonte di sofferenza esplicitata nel facile disprezzo che sfocia in emarginazione, è davvero difficile.

Oggi siamo coscienti che è una semplice e naturale variante del modo di essere di una persona, siamo in grado di capire e rispettare le preferenze più intime dell’altro, che non dovrebbe più celare i propri sentimenti, anche se le cronache quotidiane riportano episodi di bullismo che, troppo spesso, si trasforma in omofobia.

Nella plastica società greca, anticamente, non essendoci alcuna opposizione tra etero e omo, essa veniva vissuta in maniera del tutto normale, in particolare i rapporti tra due uomini, non avevano una valenza solo erotica, rivestivano una vera e propria funzione iniziatica, una sorta di rito di passaggio. L’Erastès, ovvero amante, uomo adulto che aveva una relazione con un adolescente di età non inferiore ai 12 anni, rapiva l’Eròmenos, amato, per un periodo di formazione nel quale entrambi assolvevano a dei doveri precisi. Vi era l’usanza, terminato questo periodo coincidente con la fine della pubertà, che il primo regalasse al secondo l’equipaggiamento militare; questo gesto, così evidente, segnava il passaggio del giovane all’età adulta.

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Rosy Guastafierro

Come scrittrice, blogger e viaggiatrice, vivo seguendo il motto della mia vita: essere creativa e trovare la gioia nelle cose che faccio.

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