Prima di visitare i campi di sterminio, ogni volta che veniva toccato l’argomento della Shoah mi sembrava qualcosa di lontano, quasi astratto. Leggere i libri, guardare i documentari, ascoltare le testimonianze: tutto trasmetteva orrore, ma in un modo che rimaneva distante, difficile da afferrare davvero. Poi, alcuni mesi fa, in una giornata gelida e piovosa in cui il freddo e l’umidità si insinuavano sotto la pelle, ho visitato Auschwitz. È stato allora che tutto ha assunto un peso diverso. Quel luogo, quei sassi intrisi di dolore, quelle tracce di vite distrutte hanno trasformato ciò che era un concetto in una realtà tangibile e la mente ha iniziato a elaborare in maniera completamente diversa.
Camminare in quei viali ha reso evidente che la Shoah non è solo una pagina di storia, ma un grido che arriva fino al presente. Il campo di sterminio non è fatto solo di baraccamenti e resti, ma di memoria viva: il freddo che ti avvolge sembra un’eco lontana della sofferenza di chi in quei luoghi ha patito fame, gelo e terrore. Ogni dettaglio – le recinzioni, le torrette, i binari – racconta una storia di disumanizzazione estrema. In quei momenti ti rendi conto che le statistiche non sono numeri, ma persone.
Ripercorrere quello spazio, in quelle condizioni climatiche, che richiamano almeno in parte le sofferenze patite dai prigionieri, ti costringe a guardare la Shoah con occhi nuovi. Non è più un’idea, ma un’esperienza che ti tocca nelle profondità della coscienza. Ti accorgi che non puoi mai davvero comprendere l’enormità di ciò che è accaduto, ma che portarne il ricordo è una responsabilità che appartiene a ciascuno di noi.
Non è solo un incontro con il passato, ma una sfida alla nostra interiorità presente. Ogni pietra di quel luogo sembra porci domande: cosa significa essere umani? Come possiamo impedire che il veleno dell’odio si insinui di nuovo nella società? Tutto ciò non riguarda solo gli ebrei, i rom, gli oppositori politici o gli altri gruppi perseguitati: coinvolge tutti noi, perché ci obbliga a riflettere sul ruolo che ciascuno ha nel costruire un mondo più giusto e consapevole.
Portare dentro di sé la memoria della Shoah significa assumersi la responsabilità di ricordare, di raccontare e di vigilare, affinché nessun’altra Auschwitz possa mai esistere. Che non diventi mai un’immagine sbiadita nei ricordi dell’umanità, ma un faro che illumina il nostro impegno quotidiano contro il razzismo, la violenza e l’indifferenza, è il grido di milioni di voci che ci chiedono di non dimenticare mai.
Una risposta
Con grande delicatezza e sensibilità ma anche indubitabile forza, le tue parole richiamano alla nostra mente quei doveri morali da cui nessuno di noi può derogare. Grazie Rosy.