Forsan haec olim meminisse iuvabit
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Forse un giorno ci farà piacere ricordare anche queste cose.
Con questa frase, presa in prestito dal grande Virgilio, enunciata il giorno della sua impiccagione, Eleonora Pimentel Fonseca conclude la sua storia.
Di nobili origini portoghesi, figlia di Clemente de Fonseca e Caterina Lopez di Leon, nasce a Roma il 13 gennaio 1752, forse in via Ripetta 22.
All’età di 8 anni, l’8 settembre 1760, insieme a tutta la famiglia, a causa dell’espulsione dei portoghesi dalle terre papali, si trasferisce a Napoli, in uno storico palazzo di via Santa Teresella degli Spagnoli 46. Qui inizia la sua educazione, spinta da una grande curiosità innata e un amore immenso verso la lettura.
Lo zio, l’abate Antonio Lopez, Tio Antonio, le insegna latino, greco e filosofia, ma la fanciulla rivolge il suo interesse anche alle materie scientifiche.
Intrattiene una fitta corrispondenza con Pietro Metastasio, poeta e drammaturgo, che la paragona alla lava incandescente, condividendone passione, tanto da diventare lei stessa poetessa.
Con il soprannome di Epolnifenora Olcesamante, anagramma del suo nome, viene ammessa giovanissima all’Accademia dei Filaleti sviluppatasi in Francia nella seconda metà del XVIII sec. e all’Accademia dell’Arcadia firmandosi Altidora Esperetusa.
La sua perspicacia, unita all’audacia che la contraddistingue, la porta a frequentare la famiglia Filangieri, nel cui salotto conosce Ferdinando Galiani, Domenico Cirillo, Mario Pagano e altri personaggi di spicco.
Affascinata dall’apertura mentale della Regina Maria Carolina dedica molte sue opere letterarie alla famiglia reale e, in particolare, dei sonetti per la nascita, nel 1773, di Maria Luisa, la seconda figlia, e, nel 1775, per Orfeo, futuro erede al trono.
Intanto inizia ad ampliare i suoi orizzonti, grazie alla conoscenza delle lingue, attraverso una fitta corrispondenza con i maggiori letterati europei, tra cui Voltaire e Goethe.
Nel 1778 sposa Pasquale Tria De Solis, militare molto più anziano di lei. Ben presto la differenza culturale, la morte dell’unico figlio avvenuta nel giugno del 1779 e i due aborti provocati dalle percosse del marito, che emergono dai suoi scritti, indurranno suo padre a chiedere ed ottenere il divorzio di Eleonora, che si concluderà nel 1785.
Il destino, ancora una volta, la mette a dura prova. A causa della morte del padre le sue risorse sono ridotte al lumicino, Maria Carolina, ravvisando in lei un talento non comune, in particolare per una donna, interviene elargendo un appannaggio e nominandola sua bibliotecaria personale.
Lo scoppio della Rivoluzione francese del 1789 segna l’inizio del dissolvimento del fermento letterario che aveva contraddistinto la corte borbonica. Eleonora, folgorata dai nuovi ideali provenienti da oltralpe riesce persino ad introdurre a corte, clandestinamente, la traduzione in italiano della Costituzione approvata a Parigi.
La sua nuova dimora, sicuramente più modesta, alla salita Sant’Anna di Palazzo n.29 diviene un vero e proprio cenacolo, una fucina di idee dove si discute la situazione in città e si stendono progetti.
Il 5 ottobre del 1798 il suo salotto, reputato luogo di riunioni giacobine, viene perquisito. Nella libreria vengono trovate copie dell’Encyclopédie di Diderot ed altri libri censurati e per questo viene arrestata e portata in carcere alla Vicaria. Il pittore Domenico Battaglia immortalerà l’episodio nel quadro ‘La perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca’.
Se al tempo degli Aragonesi Castel Capuano era la dimora del re, dove si svolgevano feste e banchetti sontuosi, nel XVII viene trasformato da Don Pedro de Toledo nel carcere di massima sicurezza dove soggiornano tutti i condannati, ai più efferati era riservata la Fossa del Panaro, un sotterraneo umido e tetro a forma d’imbuto.
Durante il suo soggiorno forzato Donna Lionora dà sfogo a tutto il suo sdegno verso il re, ma soprattutto verso la regina, componendo quei versi che diverranno la causa del profondo odio nei suoi confronti.
Rediviva Poppea, tribade impura
d’imbecille tiranno empia consorte (…)
Tardar ben può ma l’ora
Segnata è in ciel ed un sol filo arresta
La scure appesa sul tuo capo ancora
In quelle strofe trapela tutto il suo coraggio. Senza paura fronteggia la Sovrana in una sfida da donna a donna, consapevole che sia proprio lei l’artefice occulta del suo stato.
L’arrivo dei francesi, con la conseguente fuga della famiglia reale verso Palermo, le permette, con l’aiuto dei lazzari, di fuggire da quel luogo.